FINE DEL SOGNO INDUSTRIALE

LA CHIUSURA DELLA MONTECATINI DI PIANO D’ORTA

GLI ANNI CINQUANTA E SESSANTA

Subito dopo la ricostruzione terminata nel 1947, lo stabilimento di Piano d’Orta riavviò i principali cicli produttivi dell’Acido Solforico, Solfato di Rame, Fluosilicato di Sodio, Solfato di Allumina ed Anticrittogamici. Ben presto, però, la maggior parte di queste produzioni avrebbero subito un sostanziale decremento causato dalle mutate condizioni economiche e politiche: il decennio 1930-40, epoca di massimo splendore dell’impianto pianodortese, sembrava ormai lontanissimo.

Tale situazione si trovava in netta contraddizione con il generale andamento dei mercati dell’industria chimica nazionale che procedeva, negli anni ’50, con un tasso di incremento annuo medio del 14%. Una simile crescita era per lo più dovuta a due fondamentali cause:

  • affermazione della petrolchimica, nuovo paradigma tecnologico
  • nascita di nuovi e più moderni apparati industriali al passo coi tempi

Tra questi erano presenti l’ENI, nata il 10 Settembre 1953 e capitanata da Enrico Mattei già Presidente dell’AGIP (Azienda Generale Italiana del Petrolio, 1926). Pesante fu anche la rivalità con la ANIC (Azienda Nazionale Idrogenazione Carburanti) costituita nel 1936 dalla stessa Montecatini.

Parallelamente il mercato della Pirite subiva una grave flessione a causa dell’aumento dei prezzi ed anche la scoperta di nuovi giacimenti di sali potassici in Sicilia nel 1953, spostò gli interessi della produzione di Solfato di Potassio verso lo stabilimento di Campofranco (Porto Empedocle): occorre specificare che tale impianto poté contare sulle maestranze specializzate inviate dallo stabilimento di Piano d’Orta. Il segno più evidente del declino era, però, rappresentato dal comparto industriale dell’Acido Solforico. Per decenni, in modo continuativo, questo prodotto di punta del gruppo milanese fu sintetizzato e commercializzato, in particolare dall’impianto pianodortese: nella relazione del 29 Aprile 1960, per la prima volta nella storia, la Montecatini affermò che la produzione di Acido Solforico doveva essere considerata come un “fardello storico” ed era mantenuta per una sorta di “omaggio alla tradizione”.

L’unico reparto che ancora poteva vantare un’attività quantomeno sostenibile era quello dell’Anticrittogamico. A tal proposito, vista la posizione strategica, sul finire degli anni ’50, i locali inutilizzati dello stabilimento di Piano d’Orta, furono occupati per l’immagazzinamento di un innovativo antiparassitario “Aspor”: nel Febbraio 1958 si contavano circa 2.200 quintali di merce depositata.

All’inizio degli anni ’60 cominciarono a manifestarsi i primi, gravi problemi di bilancio: nell’esercizio 1959-60 furono spesi 53 milioni per i costi generali contro i 50 preventivati.

Da una visita condotta nella fabbrica per accertarne il grado di funzionamento e di economicità delle lavorazioni svolte, emergeva che i costi erano mal ripartiti e questo anche a causa delle inaspettate manutenzioni agli impianti i quali erano tutt’altro che ottimali. Furono, dunque, smantellati il reparto di solfato di rame mentre il reparto dei complessi e dei superfosfati presentavano ancora problemi nei macchinari per l’essiccazione. Infine, il reparto di acido solforico, malgrado le continue riparazioni e parziali ricostruzioni, stentava a raggiungere la piena efficienza, rendendo lente e difficili le consegne alle fabbriche campane.

Il personale, da ultimo, era sovradimensionato rispetto alle esigenze di funzionamento della fabbrica. Malgrado questi problemi e sebbene la capacità produttiva stentava ad arrivare al 60%, gli impianti di Piano d’Orta nel 1960 raggiunsero livelli soddisfacenti.

Tali risultati,però, non eliminavano i fattori di crisi intercorsi nel secondo dopoguerra in quanto questi erano diretto riflesso delle condizioni generali dell’intero gruppo Montecatini.

Negli ultimi anni di vita del nucleo industriale, a nulla servirono né l’impegno delle maestranze pianodortesi né le mobilitazioni operaie che con rabbia e rassegnazione assistevano alla fine del sogno di modernità e di benessere paventato per oltre mezzo secolo dalla “Fabbrica”: la definitiva chiusura dello stabilimento di Piano d’Orta avvenne nel corso del 1965.

Considerazioni finali sulla chiusura dell’impianto Pianodortese…

…e la Montecatini chiuse.

Analizzando in modo più approfondito la questione ci si accorge che la realtà fu più complessa. Le difficoltà di ripresa erano dovute, oltre che alla probabile inadeguatezza dei nuovi organismi dirigenziali, anche al clima di sfiducia nel futuro, tipico di un paese sconfitto in guerra. E’ facile immaginare che lo stato d’animo della popolazione pianodortese, prima occupata dai nazisti poi costretta durante i bombardamenti a trasferirsi nelle grotte dell’Orta, rispecchiasse in modo eloquente tale disagio sociale ed economico.

La principale ripercussione post-bellica si ebbe col passaggio dalla Carbochimica di cultura tedesca alla Petrolchimica suggerita (o imposta) dal modello americano. Il petrolio era divenuto facilmente reperibile e meno costoso del carbone.

Nel 1950 la Montecatini entra in conflitto con la Edison e la ANIC. La prima aveva realizzato impianti chimici a Porto Marghera, Mantova e Priolo (Siracusa) stipulando accordi con società americane nel tentativo di diversificare le attività al di fuori del settore elettrico. La ANIC si stava dedicando alla realizzazione di derivati del metano costruendo impianti a Ravenna, Gela e Pisticci. Questa società era stata fondata dalla Montecatini nel 1936 ma ne era stato perso il controllo intorno al 1948.

Nel 1953 la Montecatini riesce ancora a mantenere una sensibile supremazia garantendo a livello nazionale, l’80% della produzione di Concimi Azotati, il 75% degli Anticrittogamici e dei Fosfatici. L’azienda è, però, costretta a tenere in vita alcune produzioni del ramo estrattivo che ne penalizzano la gestione ma alle quali è impossibile sottrarsi a causa di un complesso intreccio di interessi politico-sociali.

Nel 1964 a Brindisi viene realizzato il più grande e moderno impianto Petrolchimico italiano del costo esorbitante di 160 miliardi, a Ferrara 10 anni prima erano cominciati i lavori per un altro impianto Petrolchimico e non erano ancora state coperte le ingenti spese. Il progetto di Brindisi, inoltre, non diede affatto i risultati sperati.

Gli investimenti sbagliati determinarono un giro di vite ai vertici dell’azienda e la cessazione di attività poco redditizie. Nel 1963 era iniziata una trattativa per fondersi con la SADE, società che vantava importanti crediti con lo Stato, il 15 maggio 1964, in seguito agli accordi presi con la Shell, nasce la Monteshell che gestirà gli stabilimenti di Ferrara e Brindisi.

Proprio in questo periodo, all’inizio degli anni sessanta, ci sono le prime avvisaglie del disimpegno della Montecatini dal sito di Piano d’Orta. Nel 1965, malgrado manifestazioni e scioperi, la fabbrica viene chiusa. Siamo alla vigilia della fusione con la Edison (Montedison, Marzo 1966) nel tentativo di garantire un futuro alla società e reggere il confronto con il mercato internazionale.