La prima Guerra Mondiale
Industria bellica e “Produzioni ausiliarie“
L’industria italiana nel primo conflitto mondiale: nasce il Ministero delle armi e munizioni
Il contesto italiano di inizio ‘900 fu caratterizzato da una sostanziale depressione socio-economica sia per la crisi mondiale creatasi nel biennio 1904-1905 e sia per eventi interni alla nazione che finirono per aggravare lo stato di fatto( ad esemiio nel 1907 il terribile terremoto di Reggio Calabria e Messina dissestò in appena 24 ore il già provato bilancio dello stato italiano con la distruzione di “non meno di 4 miliardi di ricchezza privata” – Fonte: Cabaita in G. Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale).
Nel successivo biennio 1911-12 il Regno d’Italia intraprese la “conquista la quarta sponda“, una guerra coloniale contro l’impero ottomano per Tripoli e la Libia intera. Questo conflitto rappresentò l’anticamera della vera e propria WW1 non solo dal punto di vista bellico ma anche economico.
In pratica le industri che impegnarono i loro capitali nello sforzo bellico videro crescere e consolidarsi i propri profitti oltre alla propria potenza politica e finanziaria. Parallelamente il deficit dello stato si continuò ad erodersi ed aggravarsi (“di circa due miliardi di lire“ – Fonte: Cabaita in G. Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale).
Lo scoppio della guerra rappresentò il cosiddetto “colpo di grazia” ad una situazione già di per sé disperata. Da subito i nascenti nazionalismi e le restrizioni imposte dai governi sui commerci esteri comportarono il rallentamento delle esportazioni. L’iniziale posizione di neutralità dell’Italia rallentò il degradarsi della situazione almeno fino al 1915 anno in cui venne dichiarata guerra all’Austria. presentata come la “Quarta guerra di indipendenza“.
L’Italia allo scoppio della Prima Guerra Mondiale è un paese fondamentalmente agricolo, con una industria ancora poco competitiva e, soprattutto, con alcuni settori chiave controllati completamente da capitali stranieri: si pensi, ad esempio, ai capitali tedeschi nei settori dell’energia e della chimica).
L’Italia allo scoppio della Prima Guerra Mondiale è un paese fondamentalmente agricolo, con una industria ancora poco competitiva e, soprattutto, con alcuni settori chiave controllati completamente da capitali stranieri: si pensi, ad esempio, ai capitali tedeschi nei settori dell’energia e della chimica.
Il potenziale finanziario, industriale e produttivo presente in Italia era del tutto inadeguato a competere con quello di altri paesi europei e per comprendere la dimensione di tale divario risulta rappresentativo il confronto sui dati relativi alla produzione di acciaio nel 1913:
- Italia 900 mila tonnellate
- Germania 17 milioni e 600 mila
- Gran Bretagna 7 milioni e 800 della
- Francia 4 milioni e 600
Nel maggio del 1915 con l’entrata in guerra, l’Italia impegnata nell’organizzazione dello sforzo bellico, non riuscì ad attuare da subito forme di controllo sui comparti produttivi e strategici per il conflitto.
Venne, dunque, a crearsi il Ministero delle armi e munizioni composto da:
- Gabinetto del sottosegretario
- 2 Uffici (Ispezioni, Richieste)
- 3 Ripartizioni (Servizi generali, Mobilitazione industriale, Servizio tecnico armi e munizioni)
- 3 Direzioni (Artiglieria, Genio, Aeronautica)
Nel periodo bellico, la Ripartizione per la mobilitazione industriale era quella che regolava i rapporti con i privati in quanto competente per la determinazione degli stabilimenti da considerare “ausiliari” alla causa di guerra.
L’influenza di tale ripartizione era tale da poter coordinare le attività degli opifici militari, risolvere i contenziosi economici e salariali, autorizzare “le dimissioni, i licenziamenti ed i passaggi di personale fra l’uno e l’altro stabilimento, sorvegliare il lavoro delle maestranze minorili e femminili, nonché occuparsi delle scuole, del tirocinio dei nuovi operai, delle garanzie igienico sanitarie sul lavoro“. (pg 127 G. Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale). Un potere immenso in quanto il destino di una realtà industriale e delle sue maestranze era nelle mani di tale ripartizione.
E fu così che se da un lato la Prima Guerra Mondiale divenne motivo di richiesta di “giovani combattenti e carne da macello da sacrificare nelle trincee“, dall’altro rappresentò la forzante per la nascita di nuove derive autoritarie a loro volta causa di erosione dello “stato democratico” che nel periodo di emergenza chiede agli italiani di sottoscrivere diversi prestiti obbligazionari per sostenere la guerra, rastrella i risparmi del pubblico.
“Nel settore dell’agricoltura, il governo interviene con calmieri, requisizioni, incoraggiamenti, obblighi di lavoro e di produzione , tesseramenti, minacce di confische. Per accrescere la produzione promette ai contadini somme in denaro proporzionate all’entità dei raccolti, si impegna a pagare contributi a coloro che dissodano terre, bandisce concorsi a premi a favore di quei proprietari che effettuano semine primaverili. Per tutta la durata della guerra promuove ed organizza ed impone coltivazione di terre e trasformazioni colturali e nei periodi di più intenso lavoro nelle campagne disciplina gli esoneri e la concessione di manodopera militare.” (Porosini, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale, 1975).
Il problema degli armamenti: la “Guerra delle industrie“
L’avvento della Prima Guerra Mondiale impose all’Italia la creazione di un sistema industriale in grado di assicurare produzioni belliche. A livello governativo, con il Regio Decreto del 9 Luglio 1915 n° 1065, fu istituito il Comitato Supremo ed un Sottosegretariato per le Armi e le Munizioni. Quest’ultimo fu successivamente trasformato nel Ministero per le Armi e le Munizioni (Regio Decreto del 9 Giugno 1917 n° 980).
Con un Decreto Luogotenenziale n° 1227 del 2 Agosto 1915 il Comitato Supremo ed il Sottosegretariato formarono un Ufficio per la Mobilitazione Industriale composto da un Comitato Centrale e da sette (poi undici) Comitati Regionali. Questi avevano il compito di selezionare a livello nazionale, per conto del Ministero della Guerra, gli stabilimenti industriali “ausiliari” alla causa bellica.
I provvedimenti prendevano in considerazione “sia le produzioni realizzate presso stabilimenti ausiliari, sia le produzioni realizzate presso stabilimenti non assoggettati ad alcuna particolare legislazione”. Fu così che nel triennio 1915-18 furono emanati 296 decreti di ausiliarietà mentre furono 2280 i contratti stipulati tra il 1915-22 con altrettante aziende.
Per l’Abruzzo le unità produttive individuate furono:
- Società Anonima Prodotti Chimici Colla e Concimi di Avezzano (decreto n. 143 del 1° Dicembre 1916)
- Società Romana per la Fabbricazione dello Zucchero di Avezzano (decreto n. 186 del 1° Maggio 1917)
- Società Anonima La Sangritana (Cementificio di Bomba, decreto n. 186 del 18 Giugno 1918)
- Società Italiana di Elettrochimica (officina ed impianti idroelettrici del 1° e 2° salto del Pescara)
- Stabilimento Clorati, miniere e giacimenti di bauxite di Lecce dei Marsi
- Società Sifa (officine decreto n. 35 del 25 Novembre 1915)
- Miniera Cognola di Giovanni D’Angelo di Bussi (decreto n. 250 dell’8 Dicembre 1917)
- Società Italiana Industria del Gas di Chieti (decreto n. 178 del 26 Marzo 1917)
- Officina Meccanica di Giuseppe Camplone di Pescara (decreto n. 59 del 9 Febbraio 1916)
- Società Prodotti Azotati di Piano d’Orta (decreto n. 45 del 28 Dicembre 1915)
Altre ditte, nella prospettiva di notevoli guadagni connessi con le commesse belliche, convertirono gli impianti ed i cicli produttivi all’economia di guerra. Le due aziende abruzzesi che lavoravano indirettamente per il Ministero per le Armi e Munizioni erano:
- Impresa di Gustavo Giampietro di Pescara, ex azienda elettrocommerciale, già produttrice di componenti per mulini elettrici, si specializzò nella produzione di granate torpedini per conto della Fabbrica d’Armi di Terni;
- Azienda D’Anchino di Pescara, ex ferriera, che produceva shrapnels, cioè granate a tempo, per conto della Fabbrica d’Armi di Brescia;
- Società Anonima Industria Legnami di Avezzano (casse di legno per colpi completi di granate da 105 e 102);
- Ditta Carmine Zazzetta di Pescara, una fabbrica del legno (casse per granate e shrapnels).
Un altro importante evento nella storia industriale dell’Italia della Prima Guerra Mondiale, fu rappresentato dal sequestro degli impianti di proprietà delle società tedesche, allora ai vertici nei principali settori industriali. Questi furono requisiti dal governo italiano e gestiti da Commissariati Generali appositamente costituiti nel corso del 1917, oppure direttamente dal Ministero per le Armi e le Munizioni e dal Ministero dell’Industria.
Nella Val Pescara questi provvedimenti colpirono, oltre che gli impianti elettrochimici di Bussi e Piano d’Orta anche gli stabilimenti minerari delle società tedesche Valle Romana Asphalte Minen di Manoppello e Reh di Scafa, tra i più rilevanti in campo nazionale.
L’impianto pianodortese durante la Prima Guerra Mondiale
Sia nel sito di Piano d’Orta che in quello di Bussi, furono istituiti uffici militari come gli “Uffici Disciplina e Pratiche” e nell’impianto tritano fu addirittura aperto un campo di prigionia per militi austro-ungarici destinati al lavoro negli impianti.
Dal punto di vista della produzione, vennero ampliate le lavorazioni per i “prodotti di interesse bellico“. Piano d’Orta alimentò in modo costante le acciaierie di Bagnoli per la produzione di corazzate, cannoni e bombarde con i suoi prodotti di scarto derivanti dall’arrostimento della Pirite: nel biennio 1916-18 furono spedite 7.000 tonnellate annue di ceneri ferrose.
Parallelamente, Bussi riconvertì i suoi impianti alla produzione di Ferro-Silicio (Corazze per le navi), Acido Benzoico (Gas Irritanti), Ioduro e Cloruro di Benzile (Gas Irritanti e Lacrimogeni), Fosgene da Tetracloruro di Carbonio (Gas Nervini largamente usati nella Prima Guerra Mondiale).
Il problema dell’approvvigionamento delle materie prime si presentò anche per Fosforiti, Fosfati e Salgemma. Questi giungevano ai porti di Ortona e Pescara ed il loro scarico durante il primo conflitto mondiale fu costantemente ostacolato dalla flotta austriaca che presidiava l’Adriatico.
Questo inconveniente fu superato dalla SIPA spostando il luogo di scarico dalla costa abruzzese agli scali portuali di Napoli e Torre Annunziata. Tali materie prime venivano, in seguito, trasferite a mezzo della Linea Ferroviaria Sulmona-Caianello-Castel di Sangro-Napoli fino alla stazione Torre de Passeri: sono stati registrati circa 4.000 carri ferroviari per un totale di 1,5 milioni di quintali di materiale.
La guerra e i bilanci societari
Alla fine della Prima Guerra Mondiale l’impianto di Piano d’Orta evidenzia una sostanziale crescita. Gli effetti positivi delle commesse belliche e l’aumento della richiesta di concimi sintetici permisero alla SIPA di rafforzare la propria posizione nel quadro dell’industria italiana.
Anche l’organico degli operai alla fine del conflitto presenta un massimo storico. In media dalle 285 unità del 1919 si passa alle 383 del 1920 anche se occorre specificare che la struttura occupazionale era composta da un numero fisso di maestranze specializzate per le produzioni principali (acido solforico, perfosfati e solfato di rame) alle quali erano affiancati lavoratori stagionali.
Meriti aziendali, le necessità belliche ed il “Caso Serbebel“
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale ebbe importanti ripercussioni sui siti industriali dell’alta Val Pescara.
L’esempio più eclatante fu quello dell’Ing. Ludwig Seberbel di Breslavia, Direttore del nucleo di Bussi dal 1905. Per anni curò la gestione dell’impianto del Clorato di Sodio mediante bagni elettrolitici di tipo “Monthey”, brevettati da lui stesso e già operanti in un altro impianto svizzero. Con la sua efficiente strategia aziendale da un lato perfezionò l’industria dei Cloruri Alcalini dall’altro abbracciò la tesi secondo la quale, oltre alla combustione con Idrogeno per la produzione di Acido Cloridrico, il Cloro doveva necessariamente essere immagazzinato per essere commercializzato puro.
Con il Direttore Seberbel sia i tecnici stranieri (lo svizzero Dapples ed altri di origine tedesca) che gli italiani (per lo più abruzzesi definiti “geniali, tenaci e testardi”), dettero vita ad un’equipe di specialisti che fece la fortuna del sito buscese. Con l’avvento del primo conflitto mondiale, questi suoi meriti furono messi in secondo piano ed a causa delle sue origini austro-tedesche, dovette abbandonare la fabbrica e l’Italia.