LA FINE DELLA GUERRA
LA FABBRICA DOPO I BOMBARDAMENTI
IL BILANCIO BELLICO
Le distruzioni subite dalla Montecatini di Piano d’Orta in conseguenza ai 36 bombardamenti del 1943-44 sono descritte in tre principali rapporti.
- Luglio del 1944 – In un fascicolo inviato al DTPCA di Roma, la fabbrica veniva dichiarata inattiva già dall’ottobre 1943 a causa dei bombardamenti, degli incendi, della mancanza totale di materie prime, dell’energia elettrica (le centrali sul fiume Pescara erano state distrutte).
- Agosto del 1945 – Bruno Santori, titolare della Società Imbarchi e Sbarchi di Pescara (gruppo Montecatini) effettuò un’indagine più dettagliata. “[…] la Montecatini disponeva prima della guerra di una Locomotrice Ferrovie dello Stato, di un Deposito di combustibili e lubrificanti, di km 1,5 di Binario con 5 scambi e relativo armamento, di una Tettoia per deposito locomotrice, di una Pesa a ponte presso la Stazione di Porta Nuova. Il personale occupato era: un capo servizio, un fuochista, un manovratore, un ragioniere. Ora rimangono: la pesa, un tratto di binario per circa 400-500 mt., un centinaio di traversine di rovere in condizioni non troppo buone e che verranno usate per riparare il binario a Porta Nuova, 2 scambi, 2500 mt. di rotaia normale. Il rimanente è stato distrutto dai bombardamenti o asportato da parte dei civili. Si sono dovute ricuperare rotaie e traverse per impedire tale asportazione”.
- Autunno 1946 – Indagine condotta dalla stessa direzione della fabbrica ed inviata a Franco Chimirri, Officer dell’Industrial Rehabilitation di Roma. I danni subiti dall’intero complesso produttivo erano definiti “ingentissimi”. Le parti di piombo (che ammontavano ad oltre 6.550 quintali) degli apparecchi dei reparti di acido solforico, di solfato di rame, di superfosfato, di fluosilicato di sodio e di solfato di allumina, furono smontate e spedite in Germania.
L’impianto di solfato di allumina venne distrutto del tutto dai bombardamenti, insieme alle relative attrezzature ed al deposito del prodotto e dell’idrato di allumina. Mentre, i reparti di acido solforico, già danneggiati dall’aviazione tedesca, insieme ai magazzini ed agli impianti elettrici, furono incendiati dagli stessi tedeschi in ritirata. In pratica, tra i fabbricati industriali, avevano subito danni non rilevanti soltanto i capannoni delle officine di superfosfato minerale e di fluosilicato di sodio, al contrario furono seriamente compromessi, ed in alcuni casi del tutto distrutti, il villaggio operaio, gli uffici, il casello, il sistema ferroviario.
Peraltro, per ordine della Dtpca, i macchinari ancora intatti (pompe, motori, carisacchi, insaccatrici) erano stati smontati e trasferiti nel Nord Italia per sottrarli alla distruzione dei tedeschi. In ogni caso, non fu possibile evitare che consistenti quantità di materie prime e di prodotti finiti fossero inviate in Germania.
Al riguardo, il rapporto inviato a Chimirri registrava un quadro piuttosto pesante: 5.317 quintali di solfato di rame, 1.054 quintali di rame granulato, 854 quintali di cemento di rame, 24.782 quintali di fosforite, 12 mila quintali di superfosfato. Il rapporto stimava in oltre 120 milioni di lire i danni subiti: una cifra enorme per l’epoca.
IL BILANCIO BELLICO
Tuttavia, la fabbrica non era stata depauperata del tutto. Infatti, in una relazione inviata al Supply Office dell’Aquila alla fine del Gennaio 1945, era descritta la disponibilità ancora esistente a quella data: 572 quintali di idrato di allumina (di cui 20 quintali erano stati richiesti dalla Dinamite Nobel di Bussi, segno che il quadro strutturale dei vicini impianti della Montecatini era ben diverso), 43 quintali di solfato di allumina (sporco), in procinto di essere trasferiti allo stabilimento di Roma Tuscolana, 550 quintali di fluosilicato di sodio, 765 quintali di cemento di rame (frammisti a rottami di ferro), a disposizione della consorella di Bagnoli per i suoi cicli produttivi, 261 quintali di fanghi di recupero, da spedire ad un’altra fabbrica di Roma, 261 quintali di granulato di rame, a disposizione degli impianti di Bussi e Bagnoli per la produzione di solfato di rame, 111 quintali di fanghi e spazzature (a basso tenore di rame) e 900 quintali di lignite ‘Ribolla’, da utilizzare per il ripristino della carpenteria e per i lavori di manutenzione. Infine, nei magazzini erano depositati 50 quintali di solfato di allumina per conto dell’Associazione Italiana Industria Conciatori di Roma e 6 quintali dello stesso prodotto per conto della Società Terni di Roma.
Il quadro appena delineato stimola alcune riflessioni. La disponibilità non trascurabile in quel momento così difficile per tutta l’economia italiana, fu anche il risultato dell’azione di gruppi di operai della fabbrica di Piano d’Orta, a volte in contatto con forze partigiane abruzzesi operanti allora nella valle del Pescara, altre volte per iniziativa spontanea. Nello stesso tempo, il resoconto del Supply Office evidenziava che in quel momento, nell’inverno 1945, la disponibilità della fabbrica di Piano d’Orta veniva parzialmente gestita a favore di altre consorelle del gruppo Montecatini, senz’altro più avanti nel programma di ricostruzione, rispetto allo stabilimento abruzzese per il quale la Dtpca aveva progettato l’inizio della riattivazione qualche mese più tardi.
Piano d’Orta ed il problema abitativo
In un rapporto stilato il 19 Settembre 1945 da Vincenzo Carafatti, Direttore della Fabbrica pianodortese, la situazione delle abitazioni civili nella cittadina di Piano d’Orta fu definita “[…] critica sia per colpa dei bombardamenti ma anche per il fatto che alcuni degli alloggi esistenti non erano in realtà se non dei veri e propri tuguri”. L’urgenza di case fu affrontata cercando collaborazione con Giuseppe Calabrese, all’epoca presidente del Sottocomitato per le Industrie Chimiche e Minerarie, nonché segretario della Associazione degli Industriali di Pescara (Aip) allo scopo di “ottenere uno storno di fondi dalle somme stanziate per Popoli e Scafa, a favore di Piano d’Orta”. Il “piano di ricostruzione dei fabbricati civili” ebbe un parziale successo, giacché i lavori di ricostruzione dei fabbricati civili, anche se con lentezza, furono ripresi.
La popolazione “senzatetto” decise comunque di occupare i locali liberi nei fabbricati interni allo stabilimento, dove alloggiava il personale dirigente, impiegatizio e sussidiario. Tale azione di forza fu anche motivata dal fatto che gli abitanti di Piano d’Orta, probabilmente a torto, ritenevano responsabile della mancanza di abitazioni la fabbrica. Nello stesso periodo, a causa delle sommosse ed occupazioni, lo stesso direttore Carafatti richiese l’intervento dei Carabinieri di Torre de’ Passeri affinché sorvegliassero la fabbrica prima delle 7:30, orario di ingresso dei lavoratori.